Pompei prima di Pompei. Ci avete mai pensato?
Il sito di età romana è talmente famoso per la sua unicità e modalità di conservazione, che difficilmente ci si sofferma a pensare alle dinamiche che hanno interessato il territorio, quali le influenze e i contatti con le altre civiltà del Mediterraneo, come si è sviluppata la rete sociale e di traffici commerciali che ha poi dato lustro e splendore al sito.
L’importanza universale attribuita al solo sito archeologico di età romana, deriva dal mai sopito stupore per gli eventi naturali che hanno consentito di ricevere questa immensa eredità culturale che è oggi Pompei.
Eppure il territorio era ampiamente frequentato già dal V millennio a.C.: il fiume Sarno, il terreno assai fertile, la presenza del Golfo sono tutti elementi che hanno da sempre favorito la frequentazione di questi luoghi.
Ma è dalla fine del VII sec. a.C. che il già esistente piccolo nucleo abitativo di matrice italica inizia ad assorbire influenze da altre civiltà del Mediterraneo, in particolare dall’area etrusca e da quella greca, le quali caratterizzeranno il suo assetto urbanistico e lo sviluppo culturale e sociale nei secoli a venire.
Proprio da tali testimonianze, risultato dalle indagini archeologiche nel territorio e nel sito della città, è stata pensata e realizzata la mostra “Pompei e i Greci“, promossa dalla Soprintendenza Pompei e organizzata da Electa Editore, visitabile fino al 27 novembre 2017 (info mostrapompeigreci.it).

L’ingresso della mostra Pompei Greci nella Palestra Grande di Pompei.
Allestita nella Palestra Grande di Pompei, l’esposizione si dirama lungo tutto il corridoio settentrionale dell’edificio. Seicento i reperti in esposizione, suddivisi in 13 sezioni tematiche differenti, ognuna con un cromatismo che rimanda al tema dei reperti esposti, un’alternanza di luce naturale e artificiale, il tutto accompagnato da tre installazioni audiovisive “sensoriali” che accompagnano il visitatore in un viaggio attraverso i secoli, lasciandolo immergere in un contesto storico-antropologico che ha come filo conduttore il Mediterraneo, luogo di scambi ed incontri.
L’installazione vuole mostrare il complesso intreccio di culture mediterranee e di come queste si siano vicendevolmente mescolate: oggetti prodotti in contesti differenti da quelli del rinvenimento, viaggiando hanno mutato il loro significato intrinseco, riadattandosi agli usi e costumi di chi li ha ricevuti, perdendo la loro identità originaria e divenendo nuovo strumento comunicativo.
Fin dalla prima sezione questo scopo è palesemente evidente: nell’unica teca al centro della stanza illuminata dall’alto, spicca una testa di amazzone in marmo bianco proveniente da Ercolano, rivolta verso l’ingresso, come ad accogliere i visitatori; la testa, che conserva ancora la policromia originale della capigliatura, è una copia del I sec. a.C. di un’originale del V sec. a.C., testimonianza indiretta del contatto romano con il mondo greco e della forte influenza che questo ebbe sulla società romana.
Nella stessa teca una corazza di bronzo del VI secolo a.C. proveniente da Olimpia, oggetto che da funzione bellica ha ricevuto una identità sacrale; una hydria in bronzo alta quasi mezzo metro proveniente da Paestum, frutto dell’artigianato magno greco tardo arcaico: da vaso per uso domestico diventa un cimelio a memoria dell’eroe fondatore. Elementi che ci giungono da contesti differenti da quelli di origine, per i quali spesso è anche difficile ricostruirne l’identità primaria e il percorso che li ha condotti nei luoghi del rinvenimento.

La teca della prima sezione. Alle pareti l’installazione virtuale che ripropone immagini e suoni a tema Grecia e Mediterraneo.
Per ampliare le già elleniche sensazioni, alle pareti, tutto intorno a noi, un allestimento audiovisivo con ricostruzioni virtuali di scene di battaglie su mare, immagini di scudi, uomini in armi, disegnati secondo i canoni stilistici arcaici; fragore di spade che combattono, suono delle onde del mare che si infrangono.
Un tripudio di elementi sensoriali che ci accompagneranno durante tutta la visita.
La sezione successiva si riassetta cronologicamente: un azzurrino rilassante riporta nella realtà il visitatore e prende il via il percorso che ci guida nella ricostruzione dei contesti territoriali precedenti a Pompei.
Già dalla fine del IX secolo a.C., dunque, sono attestati i primi contatti tra le popolazioni italiche e il mondo greco: l’insediamento protostorico di Longola, nell’alta valle del Sarno, circa 10 km ad est della città di Pompei, ha restituito oltre a vasellame e manufatti di produzione locale, alcune ceramiche greche di importazione o di imitazione tardo geometrica del tipo euboico-cicladico.

Piroga rinvenuta nell’insediamento protostorico di Longola (VIII sec. a.C.).
Come erano avvenuti questi contatti? Nello stesso sito di Longola sono state recuperate due monossili, ossia imbarcazioni fluviali realizzate da un unico tronco di legno di quercia, delle quali quella in esposizione è lunga circa 7 metri.
La tipologia di imbarcazione a fondo piatto era particolarmente adatta a navigare le basse acque del fiume e dunque a raggiungere la costa: qui sono avvenuti i primi contatti commerciali con quelle popolazioni greche che durante le rotte di cabotaggio per raggiungere l’Etruria sostavano in questa zona per approvvigionarsi.
Il rosso è il colore che caratterizza la sezione dedicata alle decorazioni in terracotta provenienti dai santuari di Pompei, Poseidonia, Capua e Metaponto.
Il VI secolo a.C. vede la nascita di numerosi centri urbani. Le aree sacre sono una priorità nella fondazione di una nuova città e a Pompei queste vengono dedicate ad Apollo e ad Atena, le cui caratteristiche decorative sono molto differenti tra loro. Su tutte le terrecotte esposte difatti si intuisce facilmente una comune linea stilistica di matrice greca ispirata di certo alla tradizione, ma ognuna contenente un particolare che la rende unica, attestazione del fatto che le maestranze locali si spingevano oltre, ideando nuovi elementi decorativi.

Decorazioni in terracotta provenienti dai santuari di Pompei, Poseidonia, Capua e Metaponto (VI sec. a.C.).

Pezzo forte della sezione, la statua di Zeus proveniente dal santuario meridionale di Poseidonia, in tipico stile arcaico, che conserva le cromie decorative originali (530-520 a.C.).
Incredibile scoprire come l’influenza greca fosse talmente penetrante anche nell’entroterra, tanto da collegare luoghi (all’epoca) molto distanti tra loro. Nel cuore dell’Appennino lucano, a Torre di Satriano, nel VI sec. a.C. un aristocratico locale fece realizzare da maestranze tarantine un edificio sacro alla “moda greca” le cui stesse tipologie decorative, coeve, sono state identificate su un cratere proveniente da Grammichele in Sicilia e su un cinturone in bronzo rinvenuto in una tomba a Noicattaro, nel sud barese.

Terrecotte provenienti dall’Anaktoron di Torre di Satriano, in Basilicata (VI sec. a.C.). Sul retro di ognuna, una numerazione funzionale alla messa in posa.
Non solo estetica.
Sacro e politica sono sempre andati a braccetto nell’antichità. Gli influssi dal mondo greco furono tanti e tali da influenzare anche questo aspetto della società. Anche Pompei, come tante altre città e insediamenti, rientrò nel giro vorticoso di alleanze e intese tra popolazioni locali e genti provenienti dall’area mediterranea, e come nel mondo greco tali trattati venivano stipulati sempre all’ombra dei grandi santuari.
Una lamina in bronzo rinvenuta ad Olimpia tra materiale di scarico del IV sec. a.C. attesta “un patto di amicizia fedele e senza inganno tra Sibariti e Serdaioi”, popolazione dell’Italia meridionale. Testimoni dell’accordo Zeus, Apollo, la città di Poseidonia e il santuario di Olimpia.

Lamina in bronzo iscritta, proveniente dal Santuario di Olimpia (550-525 a-C.). Riporta il trattato di alleanza tra Sibariti e Serdaioi: “Si sono accordati i Sibariti e i loro alleati e i Serdaioi per stringere un patto di amicizia fedele e senza inganno, per sempre; testimoni Zeus e Apollo e gli altri dei e la città di Poseidonia”.
La lingua è l’altro fondamentale elemento che caratterizza lo sviluppo delle civiltà: diversi ceppi linguistici in questa fase coesistono tra loro, dando vita ad una società multietnica dove il multilinguismo diventa un passepartout per agevolare traffici e scambi commerciali.
Si scopre dunque, che in zona pompeiana nel VI sec. a.C. era l’etrusco la lingua più utilizzata, l’unica che permetteva di comunicare tra genti di provenienza differente, ed era affiancata dall’osco che nel secolo successivo divenne poi la lingua ufficiale tra le genti italiche. Per la scrittura invece si prediligeva il greco, ed era una pratica abbastanza diffusa: iscrizioni in lingua greca su vasi di ceramica attestanti pratiche religiose e sociali sono state rinvenute in diversi contesti funerari.
La sezione riferita al mondo multietnico dunque, raccoglie tali testimonianze: frammenti ceramici con iscrizioni etrusche provenienti dalle aree santuariali di Pompei e Nola; attestazioni di iscrizioni in greco che arrivano dalle necropoli di Cuma e Nuceria, da dove provengono anche esemplari con iscrizioni in lingue paleoitaliche. D’effetto le anfore da trasporto etrusche e corinzie provenienti dalla necropoli di Stabiae e sistemate in maniera alternata in una teca centrale.

Anfore da trasporto etrusche e corinzie, dalla necropoli di Stabiae (VI sec. a.C.)
Una meravigliosa esposizione di corredi funerari provenienti dalla valle del Sinni, in area lucana, con ricchi corredi vascolari, numerosi elementi in bronzo sia per uso domestico sia per fini bellici e splendidi monili personali, attestano l’intensità dei traffici commerciali greci ed etruschi tra il mare Ionio e il Tirreno in età arcaica, e dunque gli intensi rapporti ed influenze tra oriente ed occidente.

Oggetti di ornamento personale provenienti da una tomba femminile rinvenuta a Chiaromonte, Basilicata (metà VI sec. a.C.)
Con la battaglia di Cuma del 474 a.C. il ruolo degli etruschi nell’Italia meridionale viene ridimensionato notevolmente. A testimonianza della vittoria dei siracusani sugli etruschi, viene esposto un elmo in bronzo strappato ai nemici e donato dal condottiero Ierone a Zeus nel Santuario di Olimpia con tanto di iscrizione di ringraziamento al dio.

Elmo etrusco dal Santuario di Olimpia (inizi V sec. a.C.)
La fondazione di Neapolis in particolare altera gli equilibri commerciali e militari del Golfo e questo determinerà una riduzione delle attività di Pompei: non è un caso che nella documentazione stratigrafica archeologica siano assenti testimonianze che ricoprono circa una ottantina di anni.
Attraversando l’ottava sezione della mostra, si viene immediatamente attratti da una teca piena zeppa di rinvenimenti provenienti dai fondali del porto di Neapolis, che coprono un arco cronologico che va dalla seconda metà del VI sec. al II sec. a.C.: notevole dunque l’attestazione della importante rete di traffici commerciali che vedeva coinvolta l’area del Golfo.
I rinvenimenti sono sistemati in maniera tale da rendere l’idea del quantitativo smisurato di reperti.

Le ceramiche esposte e provenienti dai fondali del porto di Neapolis, costituiscono un testimonianza unica per la comprensione delle attività commerciali della città (seconda metà del VI sec. al II sec. a.C.).
All’inizio del IV secolo a.C. la città inizia a rinascere.
Dapprima Alessandro Magno e le sue conquiste; poi l’espansione di Roma, i trattati e le alleanze, le nuove fondazioni: un grande dinamismo riecheggia nell’area del Mediterraneo e crea grandi trasformazioni a livello culturale, linguistico, architettonico, declinate in decine di modalità differenti per ogni città.
Le imprese mitologiche provenienti dall’oriente si riflettono da subito nelle produzioni vascolari, in una iconografia che perdurerà a lungo. Nella mostra si è scelto di esporre un ricchissimo corredo funerario proveniente da Altamura databile alla seconda metà del IV sec. a.C.; sui resti di un cratere frammentario è stata individuata la famosa scena della battaglia tra Alessandro e Dario III re di Persia, in uno schema equivalente al famoso mosaico rinvenuto nella Casa del Fauno a Pompei.

Corredo funerario proveniente dallo scavo della cd. Tomba Agip di Altamura, in Puglia

Il famoso mosaico, il più grande della Casa del Fauno di Pompei, ottenuto con l’impiego di circa un milione di tessere, rappresenta la battaglia di Isso tra Alessandro Magno e Dario III nel 333 a.C., che decretò la fine dell’Impero persiano. La notizia della battaglia ha ispirato numerose produzioni artistiche. Conservato presso il Museo Archeologico di Napoli (credit photo: MANN).
Già a partire dalle guerre puniche e con l’intento di Roma di affrontare il proprio dominio nel Mediterraneo, iniziano ad intravedersi le prime avvisaglie di una tendenza ad appropriarsi dell’eredità culturale del mondo greco. Alla conquista di Siracusa del 212 a.C., la città venne saccheggiata di tutte le opere d’arte, dei tesori e delle icone religiose: un enorme bottino, secondo solo alla conquista di Cartagine, che suscitò a Roma grande stupore, ispirando un sentimento di ammirazione verso tali oggetti ritenuti “esotici e ricchi di fascino” che diventarono da subito desiderio dalle classi più abbienti: una minaccia all’identità culturale romana secondo molti.
Pian piano così verrà introdotto, nell’ancora morigerato mondo romano, quello che poi verrà spregevolmente definito asiatica luxuria.
Ritorna dunque la grecità in italia, vista dapprima come una moda, poi come modello da emulare, che suscita in ogni caso un sentimento di collezionismo che si affinerà con il passare dei secoli.
Dalla casa di Giulio Polibio e da quella del Menandro di Pompei giungono eclatanti esempi di tale luxuria, in alcuni casi con oggetti di “antiquariato” sottoposti a modifiche di dubbio gusto, come la statua arcaicizzante in bronzo di Apollo trasformata in un porta lampada o come l’hydria in bronzo, identificata (grazie all’iscrizione su bordo) come uno dei premi per i vincitori dei giochi che si svolgevano nel santuario di Argo in onore di Hera, nella quale è stato praticato un foro sulla pancia, forse per applicarci un rubinetto. E ancora del vasellame in vetro, dei monili di ornamento personale in oro, candelabri, un tavolo in marmo e bronzo.

Oggetti di ornamento personale in oro, provenienti dalla casa di Giulio Polibio, Pompei (I sec. a.C. – I sec. d.C.).
Con i servizi in argenteria si tocca “l’apice del malcostume” secondo i moralizzatori dell’epoca: in mostra il piccolo ma raffinato servizio rinvenuto a Moregine. Curioso in questo caso il contesto di rinvenimento: gli oggetti sono stati ritrovati nello scarico di una latrina racchiusi in un sacco. Probabilmente il bottino di un furto mai recuperato.

Parte del servizio del servizio da mensa in argenteria proveniente da Moregine (I sec. a.C. – I sec. d.C.).
La moda del vivere alla greca e comunque del possedere antichità greche nel mondo romano aveva una valore societario non indifferente: attestava l’appartenenza ad una classe sociale di medio-alto rango. La scelta, le eventuali modifiche apportate o gli utilizzi di questi manufatti denotavano anche il gusto estetico e soprattutto la reale comprensione del valore che veniva attribuito al manufatto.
La lingua greca diviene parte di quella latina, ad indicare usi e costumi e non solo: il greco veniva regolarmente insegnato nelle scuole affianco alla lingua latina, al greco si ricorreva nelle occasioni legate al sentimento d’amore o al sesso, così come per indicare documenti giuridici o commerciali. Il bilinguismo era una realtà e divenne indispensabile adottarlo, data l’attestata consuetudine dei viaggi-studio in Grecia per i rampolli delle nobili famiglie, alla scoperta della grecità, considerata come una forma culturale alta al quale ispirarsi ed elevarsi. Salvo poi, per i viaggiatori, raggiungere i luoghi di culto ellenici e non trovare gli originali delle statue di Fidia perché, come ormai consuetudine, prelevate e trasportate a Roma per decorare qualche domus privata.
A causa dunque di questo disagio storico, nasce una nuova pratica: il fenomeno del copismo, per poter soddisfare la volontà di chiunque avesse voglia di ammirare (o detenere) simili bellezze artistiche. Ed è proprio con alcune di queste splendide copie in marmo di I e II secolo (oggi conservate tutte al MANN) che si conclude il viaggio nella grecità di Pompei: il resto è Roma.

Statua di Apollo in marmo dalla Casa del Menando di Pompei (I sec. a.C.).
Ma poco prima di concluderlo, abbiamo il tempo di vivere un’ultima esperienza sensoriale, quasi casuale, ma a voler chiudere un viaggio nella storia cominciato con il mare: al termine del corridoio settentrionale della Palestra, svoltando verso l’ultima sezione, attraversiamo la terza e più immersiva installazione virtuale.
Ci si ritrova improvvisamente immersi in un’atmosfera marittima: alle pareti immagini di mare, onde, riflessi di luce nelle profondità marine, suoni che evocano l’acqua, il Mediterraneo. E poi la tranquillità ed il porticato di una domus affacciata sul mare, in un’ambientazione tipicamente mediterranea.
Il nostro percorso dunque è cominciato con il mare e termina con questo stesso elemento, a voler evidenziare che tutte le popolazioni che che sono entrate in contatto in questo viaggio, le vicende storiche che hanno interessato questo lungo arco cronologico e tutto ciò che poi nè è derivato in termini di influenze culturali, scambi commerciali e di sviluppo della società, hanno tutti come unico comune denominatore il Mediterraneo.