Traiano, la vita straordinaria di un imperatore

L’8 agosto del 117 d.C., a Selinus in Cilicia (odierna Gazipaşa, in Turchia) moriva Marco Ulpio Nerva Traiano. Un uomo generoso e onesto, un comandante coraggioso e capace, un amministratore in gamba e attento. In altre parole: uno dei migliori imperatori romani. In occasione della ricorrenza dei 1900 anni dalla sua scomparsa, la città eterna gli rende omaggio con una grande mostra dal titolo “Traiano. Costruire l’Impero, creare l’Europa”, ospitata ai Mercati di Traiano-Museo dei Fori Imperiali dal 29 novembre 2017 al 16 settembre 2018.

La mostra – allestita con numerosi reperti archeologici provenienti da musei italiani ed esteri (tra cui statue, ritratti, decorazioni architettoniche, calchi della Colonna Traiana, monete) e con installazioni multimediali e interattive, come modelli in scala, rielaborazioni tridimensionali e filmati – intende presentare al pubblico l’eccezionale figura dell’imperatore Traiano, costruttore dell’Impero romano e dell’Europa odierna. L’intera esposizione sarà presentata da personaggi storici che con la tecnica dello storytelling accompagneranno il visitatore in una dimensione storica e architettonica eccezionale come eccezionale è stata la figura dell’Optimus princeps. L’evento che ne rievoca il mito rappresenterà, dunque, la giusta occasione per approfondire le conoscenze su uno dei personaggi più importanti della storia di Roma: la vita, la politica, le gesta e le opere di un uomo “ordinario” che in breve tempo riuscì ad imporsi al mondo allora conosciuto non solo quale grande condottiero ma anche quale “costruttore” a 360°.

Ma chi era quest’uomo di provincia, rispettato dal senato, acclamato dall’esercito e amato dal popolo romano, sotto la cui guida l’impero raggiunse la sua massima estensione territoriale e visse uno dei suoi periodi più felici?

Roma, Musei Capitolini. Statua di Traiano in uniforme militare.

Nato il 18 settembre del 53 a Italica (città della Spagna Betica, vicino all’attuale Siviglia), Marcus Ulpius Traianus apparteneva alla famiglia degli Ulpii, “più antica che nobile” secondo il retore latino Eutropio, ma sicuramente di rango senatorio. Le fonti storiche (Plinio il Giovane ed Eutropio, le più accreditate) non forniscono alcun dato sull’infanzia e l’adolescenza del futuro imperatore. La sua brillante carriera cominciò con la scelta di prestare servizio nell’esercito romano (dieci anni secondo Plinio il Giovane), per poi percorrere – come la maggior parte dei rampolli di buona famiglia – le varie tappe del cursus honorum. Fu questore, pretore in Spagna e poi legatus legionis in Siria nei primi anni dell’impero di Vespasiano. Questo gli diede la possibilità di acquisire una considerevole esperienza delle armi prima e del comando poi. Fu tribuno militare e console nel 91, e successivamente, nel 96, quando Domiziano fu ucciso era governatore della Germania Superiore, una delle zone più turbolente dell’impero. La sua notorietà in campo militare gli fu utile sotto il governo di Nerva che, il 28 ottobre del 97, lo adottò come figlio e lo designò come suo successore. Il prestigio indiscusso di cui godeva evitò ogni contestazione nella successione ed esattamente tre mesi dopo, il 27 gennaio del 98, all’età di quarantacinque anni, Traiano diventava imperatore, il primo Princeps nato al di fuori dei confini italici.

La sua ascesa alla dignità regale fu un evento di grande rilievo nella storia romana. Con lui si affermò il principio che la successione nel potere imperiale dovesse essere conferita al più degno, per una libera scelta del legittimo detentore formalmente perfezionata con l’adozione. L’attenta applicazione di questo criterio nel corso del II secolo favorì un periodo di eccezionale splendore per l’impero, dissimulando o ritardando i fattori delle crisi future. La pubblicistica e la storiografia antiche si mostrano consapevoli della svolta che il principato di Traiano rappresentava e riservarono al personaggio apprezzamenti in genere molto positivi i cui echi si dilatarono ampiamente nella tradizione più tarda. Esse contribuiranno a consolidare la fama di Traiano come di un eccellente condottiero, e a far ricordare il suo principato come il più “glorioso” dell’intera storia romana.

Nel Panegirico di Traiano (opera di Plinio il Giovane, che tra i letterati dell’epoca ne è il principale sostenitore politico) si legge: “attivissimo e intelligente nell’amministrazione come nelle armi, amato dal popolo e dalla classe militare, Traiano riuscì durante il suo regno a mobilitare intorno a sé anche i migliori elementi senatori ed equestri, cui infuse l’entusiasmo necessario per fondare e sostenere una buona tradizione amministrativa”. E sebbene lo storico romano Cassio Dione riveli che Traiano fosse avvezzo a intrattenere rapporti omosessuali e amasse molto il vino, trovandosi non di rado in stato di ubriachezza, queste qualità (se vere) non furono mai usate contro l’immagine del principe, come era stato con Nerone e Domiziano, additati a simbolo di decadenza morale. Al contrario questo marcantonio, alto, atletico e dai capelli neri (precocemente imbiancati), fu uno degli imperatori più seri e giusti, in grado di gestire al meglio gli affari della res publica. Non fu mai corrotto dal potere e non usò mai il suo titolo per aggirare la legge, anzi riconobbe sempre la supremazia di quest’ultima anche di fronte alla volontà dell’imperatore.

Era particolarmente eminente” affermava Cassio Dione, “per giustizia, per coraggio e per semplicità di abitudini […] non era invidioso, né fece assassinare alcuno, ma onorò ed esaltò tutti gli uomini buoni, senza eccezione, e per questo non temette né odio alcuno”. “Tratto tutti come vorrei che l’Imperatore trattasse me, se fossi un privato cittadino”, si racconta avesse risposto al suo segretario, che gli rimproverava un’eccessiva disponibilità con i sudditi. Eliminò tutti quei rituali tipici di un monarca orientale come l’abbraccio del piede, il baciamano, il palanchino con i battistrada. Le sue idee politiche erano quelle di un conservatore illuminato che credeva più alla buona amministrazione che alle grandi riforme. Intelligente nella vita quotidiana, in politica e in guerra, Traiano fu un grande comunicatore, amato dai soldati per la sua affabilità, difficile all’ira e incline alla clemenza. Così Plinio il Giovane ed Eutropio scrivevano a riguardo:

Per diventare imperatore, non hai fatto altro che meritarlo e ubbidire, lo eri già e non lo sapevi, eri un condottiero, un governatore, un soldato. Per la modestia, la laboriosità e l’attenzione sempre vigile, ti sei guadagnato l’adorazione dei soldati sopportando fame, sete, polvere e sudore insieme a loro. Allevato nel culto delle armi, non temi la guerra ma non la provochi, e quando vi sei obbligato, tutti possono constatare che non hai vinto per celebrare un trionfo, ma lo celebri perché hai vinto” (Panegyricus). “Nel governo fu così clemente, che superò perfino la gloria militare con la mitezza e la moderazione. Infatti si mostrava uguale a tutti a Roma e per le province, non danneggiando nessuno dei senatori, non facendo niente di ingiusto per accrescere il fisco, generoso verso tutti, arricchendo e colmando di onori tutti gli amici in pubblico e in privato; così clemente, che in tutta la sua epoca fu condannato un solo senatore, ma per intervento del senato. Per questi motivi fu ritenuto per tutta la terra talmente simile a un dio, che meritò la venerazione di tutte le genti, sia da vivo che da morto” (Breviarium historiae romanae).

Insediatosi a Roma, due anni dopo la sua nomina, Traiano scelse come dimora un palazzo di modeste proporzioni, vivendovi da uomo probo accanto alla consorte Pompeia Plotina (Pompeia Plotina Claudia Phoebe Piso), donna sobria, colta e intelligente, la cui unione, sebbene felice, non diede figli. La sua popolarità fu tale che il senato gli concesse sin da subito il titolo onorifico di optimus, “il migliore”. Interessato alle condizioni dei cittadini e pertanto attento alle riforme sociali e politiche, la politica di Traiano si configurò subito in continuità con quella di Nerva, facendo della iustitia il suo ideale di governo. Egli curò al massimo l’onestà e l’efficienza dell’amministrazione e della giustizia, vigilando da vicino sull’operato dei governatori delle province. In campo giudiziario diminuì i tempi dei procedimenti, proibì le accuse anonime, acconsentì un nuovo svolgimento del processo in caso di condanna in contumacia e proibì le condanne in mancanza di prove o in presenza di qualsiasi dubbio. In materia economica e sociale riorganizzò la burocrazia e promulgò leggi a favore della piccola proprietà contadina, minacciata dall’estendersi del latifondo.

Favorì il ripopolamento di liberi contadini nella penisola, investendo capitali e fornendo ai coloni i mezzi per il sostentamento e il lavoro nei campi. Si preoccupò di alleviare alcune imposte e nel contempo di arricchire il fisco vendendo largamente beni che i precedenti imperatori avevano accumulato e immobilizzato nel proprio patrimonio. Per ovviare alla miseria dei ceti più umili e tentare di risollevare l’economia italica, ormai in forte declino, Traiano impose ai senatori di investire sul territorio italiano parte dei loro capitali. Pose dei limiti all’emigrazioni dalla penisola, tentando di incentivare la presenza del ceto imprenditore e della manodopera in un’Italia che stava perdendo inesorabilmente la sua centralità.

Traiano fece altresì bruciare i registri delle tasse arretrate per alleggerire la pressione fiscale sulle province e abolì alcune tassazioni che gravavano sui provinciali e gli italici; poté così creare una sorta di cassa risparmio popolare che concedeva prestiti ai piccoli contadini e imprenditori romani che beneficiarono così di larghe concessioni; vennero poi favorite le prime cooperative e associazioni dei mestieri.

Provvedimento notevole dell’imperatore fu l’istituzione degli alimenta, ossia la costituzione di una rendita destinata a fornire i mezzi di sussistenza a fanciulli italici, orfani o poveri, organizzata in modo tale da rappresentare al tempo stesso una forma di prestito agrario a basso interesse (pari al 5%), onde agevolare il rifiorire dell’agricoltura italica. L’obiettivo dell’imperatore non era soltanto aiutare gli orfani e i bisognosi, che attraverso questa forma di sostentamento avrebbero potuto studiare e pensare eventualmente a un futuro impiego nei ranghi dell’amministrazione imperiale, ma anche la ripresa dell’economia romana, stretta come era tra la crisi economica e la contrazione demografica.

Tracce storiche dell’avvenimento sono visibili sull’Arco di Traiano, a Benevento, dove su un pannello marmoreo è raffigurata la distribuzione di viveri alla popolazione e soprattutto ai bambini poveri per via dell’Institutio Alimentaria.

Benevento, Arco di Traiano (114-117 d.C.). Nel pannello marmoreo è illustrata la distribuzione di viveri agli orfani secondo le disposizioni degli Alimenta (fonte: wikipedia)

Tra i problemi di politica interna, Traiano dovette affrontare finanche quello dei cristiani, verso i quali fu intransigente, cercando però di rispettare i principî di giustizia del diritto romano, istruendo i giudici a non tener conto delle denunce anonime, a dar luogo a processi solo dietro precise accuse, senza ricercare preventivamente i cristiani e a condannare questi solo se ostinati, ovvero non abiurassero; tali principî egli espose in un rescritto a Plinio il Giovane, che aveva consultato l’imperatore riguardo al trattamento da riservare ai cristiani nella provincia di Bitinia e Ponto; e tali furono poi le direttive da seguire rimaste in uso per quasi 140 anni, fino ai tempi di Decio, che dette inizio alle persecuzioni vere e proprie.

Pur essendo d’indole pragmatica e celebrato per la sua modestia, Traiano fu promotore di una imponente e monumentale politica edilizia (ripercorribile in parte attraverso l’opera in 3D di Altair4 Multimedia) che interessò sia l’Urbe sia altre parti dell’Impero. A Traiano si devono infatti la costruzione dell’esteso e monumentale Foro con la famosa Colonna Traiana, narrante la conquista della Dacia; un teatro e un odeon di incerta collocazione; un complesso termale sul Colle Oppio; la realizzazione di un’area per la Naumachia sulla riva destra del Tevere, vicino all’attuale Castel Sant’Angelo; il restauro del Circo Massimo e del tempio di Venere Genitrice; il riordino dei cunicoli delle cloache romane; il rinforzo degli argini del Tevere per impedire alluvioni e la costruzione di un canale per far defluire le acque delle piene; la sistemazione e l’ampliamento dei porti per favorire l’attracco delle navi (Sicilia, Civitavecchia, Ostia, Ancona, Terracina); il tentativo di prosciugare le paludi pontine; la realizzazione di acquedotti in Italia, in Spagna, in Dalmazia, in Oriente, ossia laddove i climi aridi richiedono risorse idriche maggiori; la costruzione di ponti (famosi quello sul Tago, presso Alcantara, e quello sul Danubio a Drobeta); la fondazione di colonie e il restauro del canale che congiunge il Nilo con il mar Rosso (c.d. fiume Traiano).

All’Optimus Princeps si deve soprattutto la costruzione, il restauro e la manutenzione della rete viaria in Italia e in tutte le province dell’Impero. Sotto Traiano risale la ristrutturazione della via Appia e la realizzazione della via Traiana, una nuova via publica attraverso cui collegare con un percorso più agevole, anche se più lungo, Benevento con Brindisi, in alternativa alla tortuosa regina viarum.

Plastico del ponte sul fiume Tago nella località di Alcántara in Spagna.

Nonostante la grande attività in campo edilizio e le numerose riforme politico-economiche, la fama plurisecolare di Traiano è dovuta soprattutto alle sue imprese militari. Coerentemente con la propria mentalità da soldato, Traiano porta avanti una politica espansionistica molto aggressiva. Egli mirò a ristabilire il prestigio e il potere di Roma ai confini dell’impero, rovesciando la politica prudente di Domiziano con una serie di campagne che vennero via via assumendo il carattere di vere e proprie guerre di conquista, non tutte opportune né fortunate.

Se infatti le campagne in Dacia del 101-106 procurarono la stabile acquisizione di una nuova provincia (l’odierna Romania), l’occupazione dell’immenso territorio oltre l’Eufrate intrapresa con la spedizione partica del 114 si rivelò insostenibile: e proprio allora Traiano – Optimus Augustus Fortissimus Princeps Germanicus Dacicus Parthicus – ammalato e postosi sulla via del ritorno, moriva nell’estate del 117 a Selinunte. Le sue ceneri, raccolte in un’urna d’oro, furono sepolte a Roma all’interno della Colonna Traiana (contravvenendo all’antica legge che impediva le sepolture all’interno del perimetro urbano) e in seguito trafugate dai Visigoti nel sacco di Roma del 410.

La sua fama di ottimo principe rimase perpetua nella tradizione romana e nel Basso Medioevo (IV secolo d.C.) l’acclamazione dei Cesari suonava con l’augurio: Felicior Augusto, melior Traiano, ossia “possa tu essere più fortunato di Augusto e migliore di Traiano!”. E da allora, nonostante le speranze, un princeps come Traiano fu quasi impossibile trovarlo.

Ulpio Traiano sarà, infatti, l’unico imperatore mai contestato dai posteri e ricordato per la sua clemenza e il senso della giustizia. Egli riuscì in un’impresa non facile per un sovrano: fu apprezzato da tutti. Innanzitutto dal senato con cui collaborò senza problemi; poi dalla plebe romana per la generosità delle distribuzioni di denaro e generi alimentari, per gli splendidi spettacoli e per i magnifici monumenti che abbellirono la capitale; dai provinciali che lo sostennero con entusiasmo anche per le sue origini ispaniche; dai legionari che ne riconoscevano il valore militare e, in ultimo, dagli uomini di cultura che amavano la sua cultura stoica.

Eugène Delacroix, Musée des Beaux-Arts de Rouen. La giustizia di Traiano, che raffigura il celebre aneddoto della vedova a cui avevano ucciso il figlio.

Quale principe giustissimo Dante pone Traiano in Paradiso (canto XX, vv. 43-48, 106-117), nel Cielo di Giove, nell’occhio della mistica aquila tra i cinque spiriti “giusti e pii”, dando credito a una leggenda assai diffusa nel Medioevo e in base alla quale Dio, accondiscendendo alle preghiere di San Gregorio (che pregò per la salvezza di Traiano per ringraziarlo dell’umiltà e umanità mostrata verso una vedova), avrebbe richiamato in vita per breve tempo l’imperatore pagano, che in tal modo ebbe la possibilità di credere in Cristo e quindi salvarsi. La leggenda fu più volte narrata in latino e volgare (oltre che da Dante, anche dal Novellino, dal Fiore dei filosofi, ecc.); perfino la scultura e la pittura si appropriarono come esempio di giustizia (nei secoli XV e XVI si usò spesso raffigurarla nelle aule dei tribunali in Germania e nei Paesi Bassi).

Unione perfetta tra virtù militari, politiche e amministrative, Traiano fu in grado di lasciare un solco profondo in primis nella storia dell’Urbe, e poi anche nella cultura occidentale e cristiana: simbolo di un governare sì assoluto, ma giusto e illuminato.

Sabrina Landriscina

Riferimenti bibliografici
http://www.raistoria.rai.it/articoli/limperatore-traiano-loptimus-princeps/37387/default.aspx
https://www.pressreader.com/italy/focus-storia/20170915/281543701091790
https://it.wikipedia.org/wiki/Traiano
http://www.romanoimpero.com/2009/07/traiano-98-117.html
http://www.treccani.it/enciclopedia/marco-ulpio-traiano/
http://www.treccani.it/enciclopedia/marco-ulpio-traiano_%28Enciclopedia-Dantesca%29/
http://best5.it/post/traiano-limperatore-romano-grande-storia/
http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/altro/Traiano.html
http://www.eventiculturalimagazine.com/2017/12/01/traiano-costruire-limpero-creare-leuropa-a-1900-anni-dalla-morte-i-mercati-di-traiano-celebrano-loptimus-princeps-attraverso-le-sue-opere-civili-il-mi/

Pompei. Il mosaico “Cave Canem” della domus del Poeta Tragico

Uno dei cani più famosi al mondo rischiava di far perdere le proprie tracce per colpa del degrado e dell’incuria. Per fortuna, grazie ad un recente restauro che ha fatto riemergere la celebre scritta “Cave Canem” (Attenti al cane) e ad un nuovo allestimento in vetro che lo protegge ma al tempo stesso non lo nasconde, il cane che sorveglia la domus del Poeta Tragico di Pompei torna a far paura e a mettere in guardia i numerosi visitatori che entrano nella sua dimora (figg. 1a, 1b).

L’intervento, funzionale ad una migliore conservazione e fruizione del prezioso mosaico, permette anche un pieno godimento della domus stessa; è ora, infatti, possibile osservare appieno l’allineamento ingresso-atrio-tablino-peristilio con larario, caratteristico delle abitazioni pompeiane.

Dopo anni di polemiche e di dubbi sulla corretta gestione della salvaguardia di uno dei siti archeologici più importanti al mondo, qualcosa sembra dunque cambiare. Un piccolo passo avanti, che ha portato non solo al restauro del famoso mosaico, ma anche alla pulitura degli affreschi che abbelliscono l’ingresso della Casa del Poeta Tragico (Regio VI, Insula 8, 3-5). Fatto ancora più interessante, le operazioni di restauro sono state eseguite tenendo conto delle esigenze di fruizione del bene, per cui la casa non è mai stata chiusa al pubblico e il mosaico è stato schermato per soli cinque giorni.

Fig. 1a. Pompei. Il celebre mosaico con la scritta CAVE.C AN EM visibile sul pavimento d’ingresso della Casa del Poeta Tragico, prima dei lavori di restauro.

Fig. 1b. Pompei. Particolare del mosaico con la scritta CAVE.C AN EM dopo i lavori di restauro.

Situata lungo via delle Terme, nell’area tra Porta Ercolano e il Foro, questa abitazione (portata alla luce nel 1824) è celebre per la ricchissima decorazione pittorica pertinente all’ultimo periodo dell’arte pompeiana. La domus (come spiegato nel video) deve il suo nome ad uno splendido emblema (riquadro) a mosaico raffigurante la prova teatrale di un coro satiresco (fig. 2), ossia il dietro le quinte di un teatro poco prima dello spettacolo, con alcune maschere poggiate per terra e degli attori che si preparano all’imminente rappresentazione; uno di loro si sta vestendo. C’è anche un maestro del coro con la barba bianca e un musico che prova un doppio flauto. La scena, realizzata con tessere finissime, era situata sul pavimento del tablinum, la stanza posta fra l’atrio e il peristilio, e oggi conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli insieme alla scena pittorica con Admeto e Alcesti e ad altri episodi del ciclo iliaco (fig. 3): rimangono in situ solo quelle dell’oecus (ambiente di soggiorno) raffiguranti Arianna abbandonata da Teseo ed un nido di amorini. Come nell’uso del tempo, la casa era riccamente affrescata, ma negli ultimi tempi le uniche e meravigliose raffigurazioni a soggetto mitologico rischiavano di scomparire a causa dell’incuria e dell’invasività degli agenti atmosferici, per questo sono state quasi tutte trasferite nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN), uno dei più importanti musei al mondo in particolare per la storia di epoca romana.

Fig. 2. Pompei, Casa del Poeta Tragico. Mosaico raffigurante una scena teatrale situato sul pavimento del tablino e oggi conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Fig. 3. Pompei, Casa del Poeta Tragico. Admeto e Alcesti: affresco del I secolo d.C. ora conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Sebbene di modeste dimensioni rispetto ad altre grandiose abitazioni, la domus di Publio Aninio rappresenta una tipica casa pompeiana ‘ad atrio’ e peristilio. La notorietà di questa dimora è dovuta in buona parte allo scrittore E. Bulwer-Lytton che nel 1834 ne fece l’abitazione di Glauco, protagonista del romanzo di grande successo The Last Days of Pompeii. La ricostruzione dell’autore si fondava su una delle prime guide turistiche illustrate di Pompei, edita a Londra nel 1832 ad opera di W. Gell (W. Gell, Pompeiana, London 1832).

L’ingresso dell’abitazione si apre tra due tabernae comunicanti con il vestibolo (figg. 4a, 4b), in cui è il famoso mosaico con un cane alla catena accompagnato dalla celebre scritta CAVE CANEM, tipico di molte abitazioni pompeiane. Nell’antichità era consueto raffigurare il miglior amico dell’uomo sia nei mosaici pavimentali, come nella casa del Poeta Tragico ed in quella del banchiere L. Caecilius Iucundus (Regio V, Insula 1, 26), sia dipingerlo sulle pareti, come Petronio racconta di aver visto fare nella casa del vecchio Trimalcione. L’uso di tenere effettivamente un cane all’ingresso è dimostrato finanche dal calco in gesso di un povero animale, vittima dell’eruzione (fig. 5).

Fig. 4a. Pompei. Ingresso della Casa del Poeta Tragico.

Fig. 4b – Pompei. Casa del Poeta Tragico. Ricostruzione della facciata dell’abitazione.

Fig. 5. Pompei. Calco in gesso realizzato su uno scheletro di cane durante lo scavo della Casa di Orfeo nell’Ottocento. Il cane conserva il collare con il quale era legato ad una catena, che gli impedì la fuga durante l’eruzione del 79 d.C.

L’atrio, con il classico impluvium in marmo, era decorato con grandi pitture parietali a soggetto mitologico, tra cui Zeus ed Hera, Achille e Briseide, di particolare pregio compositivo (figg. 6-8). Intorno si disponevano i cubicula (le stanze da letto) e le alae (ambienti aperti posti simmetricamente sul fondo dell’atrio), anche essi ben decorati.

Fig. 6. Pompei. Atrio della Casa della Poeta Tragico visto dal tablinum con impluvium e pozzo; la vera del pozzo in marmo bianco presenta delle scanalature esterne.

Fig. 7. Pompei. Ricostruzione dell’atrio della Casa del Poeta Tragico visto dall’ingresso.

Fig. 8. Pompei. Affresco delle Nozze di Era e Zeus sul monte Ida situato originariamente nell’atrio della Casa del Poeta Tragico e oggi conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

ll peristilio (il giardino interno) è circondato su tre lati da un piccolo ed elegante colonnato, ove era un’altra celebre pittura, quella raffigurante il sacrificio di Ifigenia – derivata da un quadro del pittore Timante di Citno, vissuto nel V-IV secolo a.C. – e, sul fondo, un larario ossia un tempietto dedicato ai Lari, i protettori della famiglia (fig. 9).

Sul portico si apre un oecus, da cui si accede in tre ambienti, le camere dove dormivano i padroni, la cucina e il famoso triclinium, la sala da pranzo, dove è ancora possibile ammirare gli affreschi di Arianna abbandonata da Teseo nell’isola di Nasso e quello della dea Venere che osserva un nido di Amorini.

Fig. 9. Pompei. Affresco raffigurante il Sacrificio di Ifigenia, ora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Ifigenia, figlia di Agamennone, viene portata di peso da Ulisse e Diomede al sacerdote Calcante, pronto a sacrificarla ad Artemide, il cui simulacro è a sinistra sulla colonna. Agamennone, completamente avvolto nel suo mantello, impotente di cambiare il volere degli dei, è racchiuso nel suo dolore. Intanto ecco arrivare dall’alto la dea Diana che salverà Ifigenia sostituendola con una cerva.

Come già asserito, diversamente dagli affreschi sopraindicati, il mosaico con il cane alla catena non costituisce affatto una novità o rarità, come si potrebbe pensare, ma risponde ad una prassi che si ritrova in diverse altre case di facoltosi romani della stessa città vesuviana: uno analogo è stato rinvenuto nella Casa di Paquio Proculo (Regio I, Insula 7, 1) e in quella di Orfeo (Regio VI, Insula 14, 20), ora conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (figg. 10-11). La peculiarità del mosaico appena tornato al suo splendore originario è la presenza del motto “Cave canem”, divenuto proverbiale. L’avvertimento è ricordato anche nelle fonti letterarie, come nel divertente episodio del Satyricon di Petronio, in cui Encolpio, il protagonista, viene spaventato a morte dal grande cane legato alla catena (Ad sinistram enim intrantibus non longe ab ostiarii cella canis ingens, catena vinctus, in pariete erat pictus, superque quadrata littera scriptum “cave canem”), dipinto nella domus del liberto Trimalcione. Tanto è il realismo del manufatto che il povero Encolpio, già a bocca aperta per tutte le meraviglie della stupefacente domus, lo prende per vero ed atterrito cade a terra, rischiando di spezzarsi l’osso del collo tra le crasse risate degli amici ivi presenti (Et collegae quidem mei riserunt).

Fig. 10. Pompei. Particolare del mosaico pavimentale, privo di iscrizione, visibile all’ingresso della Casa di Paquio Proculo, in cui il cane è rappresentato legato presso una porta semi aperta.

Fig. 11. Pompei. Mosaico pavimentale raffigurante un cane rinvenuto nel 1875 nella Casa di Orfeo e ora conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Con il ritorno del famoso mosaico alle sue antiche fattezze, sembra che l’attività di tutela dell’immenso patrimonio storico e artistico della città vesuviana sia finalmente incominciata. Pompei per anni è stata l’immagine perfetta del nostro Paese. Un patrimonio straordinario, amato, celebrato e invidiato da tutto il mondo, ma per decenni lasciato in stato di progressivo abbandono e disinteresse. Solo due anni fa, il sito archeologico era in condizioni pessime, con mosaici cancellati dal tempo, pitture nascoste dalle muffe e giardini devastati dalle erbacce, senza contare gli stucchi caduti dalle pareti e le numerose case in pericolo di crollo. Finanche il simbolo della città, il mosaico del Cave Canem, era ormai quasi scomparso. Le lettere erano illeggibili e molte parti dell’opera rischiavano di andare irrimediabilmente perse.

Il sito archeologico di Pompei ha rischiato di finire nella lista dei luoghi “danger” dell’Unesco per l’incapacità dell’Italia di garantire la conservazione degli scavi. Poi c’è stata una lenta ma autentica inversione di rotta. La nomina di un nuovo soprintendente, Massimo Osanna, proveniente dal mondo universitario, a dimostrazione di quanto sarebbe necessaria e proficua una più stretta collaborazione tra Università e Soprintendenze. La designazione del generale Giovanni Nistri a direttore del “Grande Progetto Pompei“, volto alla riqualificazione del sito archeologico. L’attuazione del Piano di Gestione denominato Unità “Grande Pompei” (UGP), per il rilancio economico-sociale e la riqualificazione ambientale, urbanistica e turistica dei comuni interessati dal piano di gestione del sito Unesco «Aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata».

Il sistema ha ripreso a lavorare, il tutto mentre il sito archeologico funzionava normalmente, senza mai chiuderlo a causa dei lavori in corso. E i risultati sono cominciati ad arrivare: riaperture di domus, restauro di affreschi e mosaici, allestimento di mostre di grande valore culturale (Mostra “Pompei e l’Europa. 1748-1943”, Mostra sugli affreschi ritrovati a Murecine dal 1999 al 2002), l’avvio di nuovi progetti di ricerca (Progetto “Pompei per Tutti”: i lavori in corso raccontati al pubblico). Sono stati persino restituiti al pubblico, dopo anni di lavori, la Basilica degli scavi di Pompei e la Palestra Grande, e presentato il programma “Pompei, un’emozione notturna” che prevede passeggiate serali e incontri letterari nell’area archeologica. Tutto bene dunque? Chiaramente no! Condividendo il pensiero di Giuliano Volpe (espresso nel presente articolo), il vero obiettivo per far fronte all’emergenza Pompei e al suo rilancio dovrebbe essere quello di uscire definitivamente dalla logica dell’emergenza e della straordinarietà e passare a quello della manutenzione programmata: l’unica vera rivoluzione di cui Pompei e il nostro Paese ha realmente bisogno! A Pompei è necessario mettere in discussione strutture organizzative ormai vetuste; migliorare la comunicazione con un uso intelligente delle tecnologie; impiegare figure nuove al servizio del sito e del vasto pubblico di visitatori; assumere giovani, ben formati, competenti, capaci di operare in maniera corretta, e non ricorrere ai volontari della cultura senza alcuna formazione universitaria! Il nostro patrimonio richiede esperti, restauratori, studiosi e promotori che sappiano curarlo e rilanciarlo, ma soprattutto servono finanziamenti per avviare tutta una serie di provvedimenti di manutenzione e promozione. L’organizzazione di assemblee sindacali a sorpresa che impediscono l’apertura dei cancelli agli scavi archeologici, con il risultato di lasciare per ore migliaia di turisti in fila sotto il sole, l’assenza di addetti per malattia o per ferie, è un danno inestimabile che rischia di vanificare quei risultati straordinari raggiunti nell’ultimo anno e che hanno rilanciato l’immagine di Pompei nel mondo. E siamo d’accordo con il Ministro ai Beni Culturali Dario Franceschini nell’affermare che «Chi fa così fa solo del male al proprio Paese».

S. Landriscina

Vespasiano, un imperatore venuto dalla campagna

Come da ben 1946 anni, oggi, primo luglio, ricorre l’anniversario della proclamazione di Titus Flavius Vespasianus a imperatore di Roma, che governò nel decennio fra il 69 e il 79 d.C. col nome di Caesar Vespasianus Augustus. Fondatore della dinastia flavia, fu il quarto a salire al trono nel 69 d.C. (l’anno dei quattro imperatori) ponendo fine a un periodo d’instabilità seguito alla morte di Nerone.

Busto di Tito Flavio Vespasiano

Figlio di Tito Flavio Sabino e di Vespasia Polla, Tito Flavio Vespasiano, meglio conosciuto come Vespasiano, nacque in Sabina presso l’antico Vicus Phalacrinae, corrispondente all’odierna Cittareale, il 17 novembre 9. La sua famiglia aveva origini contadine e lui stesso aveva aspetto agreste, ma non si vergognò mai della sua estrazione ne tanto meno del suo soprannome «il mulattiere». Vespasiano era fiero dei suoi umili natali e rideva degli adulatori che volevano far discendere da Ercole. Educato in campagna, vicino al vicus di Cosa, sotto la guida della nonna paterna (chissà se anche lei avrà mai usato il battipanni o il cucchiaio di legno per farsi obbedire), all’età di ventisette anni (36-37 d.C.) sposò Flavia Domitilla da cui ebbe tre figli: Tito e Domiziano, in seguito imperatori, e Flavia Domitilla minore. La moglie e la figlia morirono entrambe prima che diventasse princeps. Tuttavia, Svetonio (Vita di Vespasiano, 3) racconta come dopo la morte della moglie Domitilla, Vespasiano non si perse certo d’animo, tanto da unirsi a Caenis, liberta di Antonia, madre dell’imperatore Claudio, che già prima aveva amata e che, quando divenne imperatore, egli considerò quasi come legittima moglie. Antonia Caenis, dapprima amante e poi concubina dopo la morte di Domitilla, ebbe una forte influenza su Vespasiano e accumulò ingenti fortune attraverso i doni offerti da coloro che tentavano così di guadagnare i favori dell’imperatore. Ma nonostante venisse considerata dall’imperatore alla stregua di una moglie legittima, Svetonio narra un episodio in cui Domiziano, il figlio secondogenito di Vespasiano, la trattò con disprezzo, porgendole la mano da baciare. Tra doveri e piacevoli distrazioni, Vespasiano ricoperse le più alte cariche sotto Caligola (fu edile e pretore) e Claudio (fu legato della legio II Augusta sul Reno e in Britannia, dove riportò notevoli vittorie); alla morte di Nerone (68 d.C.) si trovava invece in Giudea, col compito di reprimere la rivolta e sottomettere la regione. Nel 69 d.C. Vespasiano fu acclamato imperatore contro il regnante Vitellio dalle sue stesse legioni e nel dicembre dello stesso anno, anche se non era presente, il Senato ratificò la sua elezione, proclamando Vespasiano imperatore e console con il figlio Tito, mentre il secondogenito Domiziano veniva eletto pretore con potere consolare. Giunto a Roma nella primavera del 70 d.C., Vespasiano dedicò fin dall’inizio ogni sua energia a sanare i danni causati dalla guerra civile. Durante il suo regno, seguito al biennio 68-69, nel quale si erano succeduti sul trono di Roma ben cinque imperatori, Vespasiano riuscì a riportare nell’Impero l’equilibrio politico, economico e sociale, realizzando una revisione del catasto e prendendo provvedimenti in favore delle province. Restaurò la disciplina nell’esercito che sotto Vitellio era stata trascurata, e con la collaborazione del senato, riportò il governo e le finanze su solide basi. Senza nulla togliere ai nostri ultimi governi, chiese la riscossione delle imposte non pagate sotto Galba, introducendone poi di nuove e ancora più gravose; aumentò i tributi delle province, anche raddoppiandoli in alcuni casi; ebbe nel complesso un occhio attento sulle finanze pubbliche a causa dell’immensa povertà in cui versava sia il fiscus sia l’aerarium. Celebre è l’aneddoto secondo cui egli mise una tassa persino sugli orinatoi (gabinetti pubblici, che da allora vengono chiamati anche vespasiani). Rimproverato dal figlio Tito, che riteneva la cosa sconveniente, gli mise sotto il naso il primo danaro ricavato, chiedendogli se l’odore gli dava fastidio; e dopo che questi gli rispose di no, aggiunse pure «pecunia non olet» ovvero «il denaro non ha odore», quale che ne sia la provenienza. Attraverso l’esempio della sua semplicità di vita, mise alla berlina il lusso e la stravaganza dei nobili romani e iniziò sotto molti aspetti un marcato miglioramento del tono generale della società. Come censore (nel 73 d.C. ) riformò il Senato e l’ordine equestre, rimuovendone i membri inadatti e indegni e promuovendo uomini abili e onesti, sia tra gli Italici sia tra i provinciali (politici prendete esempio!!!). E poiché la lussuria e la libidine si erano largamente diffusi in questo periodo, decretò schiava la donna libera che si fosse concessa ad uno schiavo di altri; decretò che i crediti degli usurai non potessero essere riscossi presso i figli dei debitori; annullò le leggi di Nerone relative al tradimento coniugale; multò pesantemente coloro che sporcavano fuori dei contenitori di rifiuti posti agli angoli delle vie. Infine, emanò la Lex de imperio Vespasiani, per cui egli e gli imperatori successivi governeranno in base alla legittimazione giuridica e non in base a poteri divini come i Giulio-Claudii. Importanti furono anche i suoi interventi urbanistici nella città di Roma: ricostruì il tempio di Giove Capitolino, dando lui stesso una mano a rimuovere le macerie e trasportandole personalmente in spalla; in questa circostanza fece ricostruire le tremila tavole di bronzo distrutte dall’incendio, nelle quali erano documenti antichissimi e di grande importanza; iniziò la costruzione di un nuovo foro, il terzo dopo quelli di Cesare e Augusto, con annesso un tempio dedicato alla Pace, decorato con le statue raccolte da Nerone in Grecia e in Asia Minore, antichi capolavori di pittura e di scultura, oltre che con la suppellettile d’oro presa nel tempio dei Giudei; portò a termine sul Celio il tempio del Divo Claudio, iniziato da Agrippina ma quasi interamente distrutto da Nerone; dispose la costruzione con relativa tassazione di numerosi orinatoi, i c.d. “vespasiani”; realizzò, infine, un monumentale anfiteatro, il Colosseo, simbolo ancora oggi dell’antica Roma. Vespasiano fu anche un profondo amante della cultura, favorendo gli ingegni e le arti. Egli fu, infatti, il primo imperatore a stanziare una somma di centomila sesterzi all’anno a favore di retori greci e latini. Versò numerosi congiaria ai poeti più importanti, ai migliori artigiani, come quello che restaurò la Venere di Coo e il Colosso di Nerone. E durante il suo regno fu scritta la grande opera di Plinio il Vecchio, Naturalis historia, dedicata a suo figlio Tito. Dotato di una spiccata ironia, Vespasiano fu capace di scherzare anche nei suoi ultimi momenti di vita. Ad aggravare il suo stato di salute sembra sia stata un’indigestione causata da una quantità eccessiva di acqua ghiacciata. Sentendosi morire per un improvviso attacco di dissenteria, sembra abbia esclamato: «un imperatore deve morire in piedi». E mentre tentava di alzarsi, spirò tra le braccia di chi lo stava aiutando, il 23 giugno del 79, all’età di sessantanove anni. Morì nella sua villa presso le terme di Cotilia, in provincia di Rieti, dove ogni anno era solito trascorrere la bella stagione. Verrà divinizzato, in seguito, dal figlio primogenito Tito, rimasto unico imperatore. Lo storico Tacito (Annales, III, 55.4) di Vespasiano scrisse: «[…] era dotato di tali severi costumi, da esserne considerato l’iniziatore, egli stesso uomo per educazione e per modo di vivere simile agli antichi». Svetonio (Vita di Vespasiano, 8) lo descrive come un uomo giusto, onesto, molto legato alle sue origini familiari, con il solo difetto di essere avido di denaro: «[…] durante tutto il periodo in cui fu imperatore, dedicò il suo tempo, per prima cosa, a rinforzare la res publica indebolita e che vacillava, per poi migliorarla». Tuttavia, l’avarizia con cui l’autore latino rimprovera Vespasiano, sembra essere stata in realtà una illuminata economia, che, nello stato disordinato delle finanze di Roma, era una necessità assoluta. Sempre Svetonio (Vita di Vespasiano, 2) ricorda come Vespasiano fosse molto legato alla nonna paterna, al punto che spesso faceva ritorno alla villa dove era cresciuto nei pressi di Cosa: «Aveva una tale venerazione per la memoria della nonna che durante le festività romane continuò sempre a bere nel suo piccolo bicchiere d’argento». Aggiunge ancora Svetonio (Vita di Vespasiano, 12, 14-15, 20-22): «[…] dall’inizio del suo principato fino alla morte, fu clemente e si comportò come un normale cittadino privato; non cercando mai di nascondere le proprie mediocri origini, né quelle della sua passata condizione, al contrario se ne vantò spesso. […] Era poi di corporatura tarchiata, con le membra robuste e ferme, il volto quasi contratto in uno sforzo. […] Non sono ricordati [di Vespasiano] né inimicizie né offese, per nulla portato a vendicarsene, fece maritare in modo splendido la figlia del suo nemico Vitellio, donandole una dote ed arredandole la casa. […] Egli fu tanto lontano dal lasciarsi spingere a rovinare qualcuno per il solo sospetto o la paura. […] Vespasiano non si rallegrò mai per l’uccisione di alcuno, al contrario pianse e si lamentò per le giuste condanne. […] Tutto sommato godette di buona salute, accontentandosi di mantenerla con massaggi regolari a tutto il corpo, stando a digiuno un giorno al mese. Era poi sua abitudine svegliarsi molto presto, leggere lettere e rapporti di tutti i suoi funzionari, ricevere amici, vestirsi da solo, fare una passeggiata in lettiga, riposare con una delle tante concubine, che dopo la morte di Caenis, ne avevano preso il posto. […] Durante la cena, come in ogni altra occasione, era molto socievole ed aveva spesso battute molto spiritose, anche se scurrili e volgari, utilizzando anche parole oscene». Sembra che Vespasiano non fosse un eccellente soldato, come il figlio Tito, ma dimostrò forza di carattere e abilità, ebbe un continuo desiderio di stabilire ordine e sicurezza sociale per i suoi sudditi. Fu puntuale e regolare nelle sue abitudini, occupandosi dei suoi uffici la mattina di buon’ora e godendosi poi il riposo. Temprato dal rigore dei legionari, di fatto non fu incline ad alcuna forma di vizio. Forse non ebbe le caratteristiche attese di un imperatore della precedente dinastia giulio-claudia, ma fu apprezzato da tutti, sia dalla plebe sia dal patriziato senatorio. Vespasiano fu dunque il fautore di una rinascita economica e sociale in tutto l’Impero che godette, grazie al suo governo, di una pax rimasta proverbiale. Di fatto per questo fu uno degli imperatori più amati della storia romana.

S. Landriscina